Cambiare lavoro o cambiare modo di lavorare?
Prendo spunto dalla storia di una mia cliente, che chiamerò Margherita.
Margherita lavora come buyer da circa due anni. Ha alle spalle esperienze nel customer care, negli acquisti e qualche altra piccola esperienza nel settore commerciale, dove ha ottenuto anche alcuni riconoscimenti professionali per i risultati conseguiti. A Margherita piace il suo lavoro. Ha un curriculum interessante, il suo profilo professionale è molto richiesto e infatti viene spesso contattata da head hunter e recruiter per altre proposte di lavoro.
Due anni fa decide di accettare un’opportunità come buyer per un’importante azienda del territorio in cui vive. Quella che sembrava un’opportunità di crescita, diventa l’inizio di una fase molto complicata per lei: risultati altalenanti, tensioni con i propri responsabili, difficoltà nella gestione dei clienti, dubbi, incertezze e paure. A Margherita sembra di non essere più capace di fare il lavoro che ha sempre fatto, o almeno di non essere più abbastanza capace di farlo con risultati apprezzabili.
Si sente poco soddisfatta e realizzata, non è serena, ha iniziato ad avere molti dubbi e sempre meno fiducia nelle proprie capacità.
“Forse non sono capace di fare questo lavoro, forse mi sono soltanto illusa di saper fare questo lavoro, forse dovrei cambiare lavoro, però a me piace fare quello che faccio“.
Margherita ha molti dubbi, si sente confusa: da una parte vorrebbe cambiare lavoro perché non ha più fiducia nelle sue competenze, dall’altra non vorrebbe buttare via proprio tutto. Si sente combattuta, alcuni giorni vorrebbe licenziarsi in tronco, altri giorni pensa che non dovrebbe darsi per vinta e continuare a fare il suo lavoro.
Come è finita la storia di Margherita?
Non ha cambiato lavoro, continua a fare quello che le piace fare. Anzi, dopo aver continuato a lavorare per alcuni mesi nella stessa azienda, ha avuto un’altra opportunità e nell’azienda attuale è molto apprezzata per le sue competenze e per la sua professionalità.
La storia di Margherita mi ha insegnato che in alcune occasioni tendiamo a confondere i risultati delle nostre prestazioni lavorative con il valore delle nostre competenze. Margherita aveva tutte le competenze per poter fare il lavoro di buyer: aveva scelto questa strada, si era formata ed era brava nel suo lavoro. Non riuscendo ad ottenere risultati apprezzabili nella sua ultima azienda, si era convinta di non essere più capace, di non avere più valore e di essere destinata a cambiare lavoro per ritrovare un fiducia in sé stessa e sentirsi più realizzata professionalmente.
Esplorando dubbi, incertezze e paure, ha potuto riscoprire il valore delle sue competenze, e il suo valore come professionista e come donna. Ha scoperto soprattutto che il motivo per il quale i risultati delle sue prestazioni lavorative non erano apprezzati non dipendeva da una sua mancanza di competenza, ma dal valore che quelle competenze avevano all’interno del contesto di lavoro.
Così, se il suo modo di lavorare era stato assolutamente efficace ed apprezzato nei contesti aziendali precedenti, all’interno dell’attuale azienda le veniva richiesto di esprimere competenze che andavano a cozzare con i propri valori e con le sue principali qualità. Usando una metafora dal mondo animale, Margherita sapeva salire sugli alberi volando di ramo in ramo, l’azienda attuale le chiedeva di salire sull’albero arrampicandosi con le mani, le zampe e con le unghie.
Il morale della storia di Margherita è che a volte non dobbiamo cambiare lavoro per essere felici, ma cambiare il modo in cui guardiamo alle nostre competenze. Consentire alle nostre competenze di esprimersi all’interno di quei contesti in cui possiamo essere visti per le nostre qualità e per i nostri talenti. Non è necessario cambiare lavoro ma cambiare modo di lavorare.